Poesia e filosofia
Osvaldo era dietro il bancone, intento a scarabocchiare qualche verso su una carta da focaccia, unta. Il professor Mandorlini lo osservava con aria incuriosita, sorseggiando lentamente il bicchiere di birra.
Mandorlini: «Che componi di bello, oste?»
Osvaldo (gonfiando il petto): «Una poesia. L’ho intitolata "Ode al bicchiere scheggiato". Vuoi sentirla?»
Mandorlini (con solennità finta): «L’universo attende.»
Osvaldo si schiarì la voce e recitò:
«Bicchiere rotto,
come il cuore mio,
perdi gocce,
ma resti pieno di birra.»
Un silenzio cadde per un istante, rotto solo dal cigolio della porta.
Mandorlini (serio, dopo una pausa): «È terribile.»
Osvaldo (offeso ma fiero): «Terribile in senso alto, vero?»
Mandorlini: «No, terribile nel senso che fa male alle orecchie. E proprio per questo… funziona. La vera poesia deve graffiare.»
Osvaldo lo fissò, incerto se ringraziarlo o cacciarlo fuori. Poi scoppiò a ridere.
Osvaldo: «Sai che forse hai ragione, professore? Una poesia ben fatta non fa ridere nessuno. Le mie invece fanno ridere tutti. È il mio dono.»
Mandorlini: «Esatto. Tu fai ridere con la poesia. Io faccio piangere con la filosofia. Insieme copriamo tutto lo spettro umano.»
I due si guardarono per un attimo, poi alzarono i bicchieri.
Osvaldo: «Alla faccia dei critici.»
Mandorlini: «E alla faccia della verità, che non sa mai scegliere tra ridere e piangere.»
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