La crepa nel bicchiere
La Taverna era quasi vuota. Restavano solo il rumore del vento fuori e il respiro pigro di Marta, la gatta, acciambellata sul bancone. Osvaldo riempì due bicchieri, ne passò uno al professore.
Osvaldo (sospirando): «Lo vedi, Mandorlini? Ogni bicchiere che ho qui dentro è scheggiato. A volte penso che assomiglino a me.»
Mandorlini (accarezzando il bordo del suo bicchiere): «Non ti illudere, Osvaldo. Anche io sono pieno di crepe. Solo che le mie non si vedono.»
Ci fu un silenzio breve. Osvaldo abbassò la voce.
Osvaldo: «E se un giorno queste crepe diventano troppe? Se tutto si rompe?»
Mandorlini (con tono paradossale ma sincero): «Allora cadremo a pezzi, e magari qualcuno raccoglierà i frammenti per farne un mosaico. È l’unico modo in cui la verità diventa bellezza.»
Osvaldo lo fissò a lungo, poi rise piano, con malinconia.
Osvaldo: «Vedi, professore? Io scrivo poesie orribili. Ma tu… tu sei peggio. Tu fai paura.»
Mandorlini (alzando il bicchiere): «Eppure, tra i tuoi versi stonati e i miei paradossi spaventosi, riempiamo la Taverna. E finché qualcuno resta ad ascoltarci, le nostre crepe non ci avranno vinti.»
I due bevvero in silenzio. Marta aprì un occhio, come a dire che, in fondo, la Taverna era più solida di quanto sembrasse.
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